ANNO 14 n° 120
Peperino&Co.
Il Gonfalone,
prodigio baroccco
di Andrea Bentivegna
02/04/2016 - 02:01

di Andrea Bentivegna

Quando i fedeli varcarono la porta della chiesa del Gonfalone dovettero rimanere senza parole con il naso all’insù, incapaci di credere ai loro occhi. Erano i primi mesi del 1757 e lasciandosi alle spalle l’odierna via Cardinal la Fontaine si erano trovati di fronte a un prodigio: le colonne e gli archi della chiesa si slanciavano verso il cielo, il soffitto era sparito e le nuvole e gli angeli si affacciavano sulla navata improvvisamente immensa.

L’epopea barocca, affermatasi nel secolo precedente, aveva del resto quella finalità, stupire cioè il fedele coinvolgendolo come mai prima di allora nella preghiera. Tutto doveva essere più teatrale e stupefacente per suscitare la meraviglia. Era questo il vero scopo delle arti ispirate dalla controriforma cattolica.

La chiesa del Gonfalone o per essere più precisi San Giovanni Battista del Gonfalone ne era una dimostrazione eccelsa. La sua costruzione iniziò nel 1665 e si concluse, con la realizzazione della facciata solo nel 1726, proprio nel cuore del secolo ''trionfante''. A dimostrarlo è senza dubbio l’impianto planimetrico a navata unica, il soffitto a volta ma soprattutto la facciata in cui la lezione borrominiana viene trascritta con precisione ricorrendo ad una alternanza di forme convesse e concave che incurvano la pietra quasi a voler accogliere al suo interno il fedele.

A ribadire l’appartenenza di questo edificio allo stile barocco va ricordato che l’altare, realizzato solo nel 1746, è opera di Nicola Salvi e cioè di un dei più grandi architetti del secolo che passò alla storia per il progettò di Fontana di Trevi e che a Viterbo stava realizzando in quegli anni l’altro grande edificio dell’epoca, la chiesa di Santa Maria in Gradi.

Se per il progetto architettonico si ricorse al romano Francesco Maria Baratta, l’apparato pittorico decorativo, di assoluto rilievo, costituisce invece una vera antologia di artisti viterbesi dell’epoca, si va dal Romanelli al Falaschi al Corvi. Tra tutte queste opere, però, quella che più di tutte emerge e caratterizza questa chiesa è, come abbiamo visto, la decorazione della volta.

Una sorprendente immagine che, avvalendosi di una sapiente illusione prospettica, sembra realmente dilatare la volta oltre le nuvole del cielo fino al regno di Dio. Si tratta del capolavoro di due artisti: Giuseppe Mazzetti, che dipinge la parte architettonica, e Vincenzo Strigelli che realizzerà il potente apparato figurativo.

Un’opera unica per la nostra città che si rifà apertamente a un altro capolavoro ancora oggi ammirato, la volta della chiesa di Sant’Ignazio a Roma realizzata nel 1685 dal geniale Andrea Pozzo.

Ancora una volta Viterbo, ritenuta unicamente una città medioevale, è capace di sorprendere con un pregevole opera barocca capace di rinnovare, nei visitatori, la sorpresa che colse i primi fedeli che, tre secoli fa, si affacciarono per primi all’interno di questa meravigliosa chiesa.





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